1-31 gennaio 2020
Il dono dell’imperfezione
Mio padre Renzo era pittore. L’ho visto dipingere da quando sono nata; per diversi anni non ha avuto uno studio fuori di casa, così l’odore di colori ad olio, di trementina, degli acrilici è stato lo sfondo olfattivo della mia infanzia, come le sue pitture astratte l’orizzonte visivo. Era anche professore di Disegno Ornato al Liceo Artistico, quindi l’arte era esperienza quotidiana nella sua vita.
Io ho iniziato a dipingere solo dopo la sua morte, dandomi a quel punto una sorta di autorizzazione ad entrare in quello spazio della creazione artistica: uno spazio in cui lui non mi aveva mai ufficialmente invitato – non avendomi mai dato orientamenti o insegnamenti al riguardo – e da cui mi ero tenuta un po’ sdegnosamente a distanza. E ho scoperto che più che dipingere mi interessa la composizione visiva, come nella professione di architetto, che ho praticato tutta la vita, quello che più mi interessava era la composizione spaziale.
Ed ora questa mostra: nata dall’idea di mettermi a confronto con lui (impari, direte), si è sviluppata man mano nel riconoscimento di una continuità per me sorprendente, data l’assoluta convinzione di non aver ricevuto dal Renzo pittore alcun insegnamento.
E invece: il suo fare pittura, con l’uso di materiali sempre più disparati (listelli, ramoscelli, latte metalliche, coperchi, schegge di legno…), il passare e ripassare segni sulla tela e poi su pannelli di legno, il tagliare e incollare, avvitare, inchiodare, legare con lo spago, e colorare e ricolorarci sopra, passando dall’olio alla matita all’acrilico all’acquerello all’inchiostro e alle chine, il suo generare mondi dichiaratamente non riconoscibili ad uno sguardo basato sull’ovvio… tutto questo è stata una rappresentazione a mia disposizione quasi quotidiana.
Sia come sia, in questi anni di pratica fotografica prima e pittorica poi, mi sono scoperta a comporre le mie opere in modi che derivano chiaramente da quella forma di insegnamento che è l’osservazione diretta, scevra di parole ma ricca di azione e di sentire.
Così mi ritrovo ad aver bisogno di muovere le mani declinando la femminile l’uso di materiali disparati, il legno, le lamine di alluminio, la carta, le stoffe e i pizzi; a passare attraverso colori che diventano autonomi rispetto alle forme; a creare quadri come oggetti integrali, tridimensionali; a lavorare con il senso del gioco.
Di tutto ciò, quello che più mi interessa, che ricerco in ogni opera, è il valore dell’imperfezione, che diventa per me una sorta di guida nell’esecuzione, come nella scelta dei materiali e in definitiva nell’estetica generale dei miei pezzi. Imperfezione come possibilità di uscire dal “dovere della perfezione” per me mortifera, come stato generativo di “altro”, che permette a chi guarda di procedere da sé oltre.
Imperfezione insita nei materiali trattati con le mani, a differenza di ciò che viene prodotto con la tecnologia, imperfezione connessa alla vita, all’umano.
E questa accoglienza, ma ancor più questa celebrazione dell’imperfezione, è un dono di mio padre Renzo Marinelli attraverso il suo fare pittura e di cui, attraverso questa mostra, lo ringrazio.
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